1 - From maturità with love

 

 

 

Terminato il Liceo avrei voluto studiare filosofia. Già m'immaginavo chino sugli scritti di Kant, Hegel, Wittgenstein, Pascal (e chi più ne ha più ne metta) a trastullarmi per ore sui grandi temi dell'esistenza. Sognavo di bere un'infinità di aperitivi nei centri sociali con compagni di corso frikketoni, discutendo animatamente del “mito della caverna ai giorni nostri”. Bramavo d'incrociare gli studenti radical-chic d'architettura guardandoli con sufficienza dall'alto della mia superiorità intellettuale, palesata dalla copia di “Lotta comunista” sotto braccio. Non vedevo l'ora di tenere perennemente nella mano destra un'edizione anni settanta di “Così parlò Zaratustra” e nella sinistra un volumetto sottolineato de “Il mondo come volontà e rappresentazione”.

“Guarda che se studi filosofia l'unica cosa che terrai in mano sarà il cestino per l'elemosina”.

Con questa frase, di un tatto subumano, mio padre mi convinse che iscrivermi a filosofia non fosse l'idea migliore.

Escludendo a priori qualsiasi facoltà di tipo scientifico (il testo di matematica liceale conserva tutt'ora il cellophane e la professoressa se sente pronunciare il mio nome si strappa ciocche di capelli dalla disperazione) le opzioni papabili furono: lettere o giurisprudenza.

Per l'ipotesi lettere mio padre si pronunciò con la solita delicatezza: “Per cortesia, fai il serio!”

Il problema è che stavo facendo il serio.

“Ma papà, lo sai che amo la letteratura.”

“Si e poi quando esci che mestiere fai?”

“Non so. Il professore, il giornalista...”

“Si vabbè, anche a me son sempre piaciute le donne ma non è che mi son iscritto all'Accademia della seduzione di Moana Pozzi.”

“Ma la facoltà di lettere esiste davvero.”

“Senti, io pago per farti studiare una cosa che ti darà da lavorare.”

Alla fine mi iscrissi a legge.

 

 

Vai al capitolo precedente

 

Vai al capitolo successivo

 

 

 

 

 

Crea un sito web gratis Webnode