10 - Il nome è per sempre (come la partita IVA)

 

 

 

Quando si da il nome a qualcosa che non ce l'ha, se ne entra in possesso. Diventa tuo, ti appartiene. Non solo. Da bambini si da il nome al peluche, per marcare un confine tra ciò che è proprio e ciò che è degli altri, per definire l'esclusività. Ma, una volta che il pupazzo ha il suo nome, prende vita, si trasforma in qualcuno, tanto che lo chiami, ci parli, ci giochi. Nella mitologia ebraica, il Golem si muoveva se gli si scriveva sulla fronte “verità”. La parola è esistenza. Il nome è possesso e vita.

Per trovarne uno adatto alla libreria impiegai molti giorni. Riversai tantissima attenzione su come intitolare ciò che stavo per creare. Considerai e scartai ipotesi a bizzeffe. Poi l'ispirazione: Pascal, in onore di Blaise Pascal (filosofo, matematico, scrittore). Un nome azzeccato ed evocativo, che riuscivo a immaginare sulla targhetta della libreria che, a quel punto, iniziava a esistere.

 

Tenni nascosto cosa volevo aprire ma non che mi stavo muovendo per farlo.

La reazione di chi sentiva: “Mi sto mettendo in proprio” era sospirare, guardarmi con rassegnazione, mettermi una mano sulla spalla e dirmi: “Mi dispiace...”

Inizialmente non capivo perché fossero così affranti. Aprì gli occhi quando incontrai il professionista cardine dell'imprenditoria, la spalla di ogni manager, croce e delizia dell'azienda: Il commercialista.

Mi affidai a uno bravissimo, giovane, preparato. Era indispensabile rivolgersi al migliore per comprendere quello che mi aspettava e per gestire, poi, la libreria. Il commercialista è come l'Uomo del Monte: solo la sua approvazione fornisce il benestare per agire. Era l'unico che potesse spiegare il quadro generale e indirizzarmi su come muovermi. Senza dimenticare che disponevo di un budget molto limitato, perciò avrei dovuto ottimizzare ogni risorsa finanziaria senza lasciare nulla al caso.

Quando entrai nello studio de Il commercialista, sentì telefoni squillare, segretarie parlare tra loro e notai plichi di F24 in ogni dove. Ma fu solo nel momento in cui palesai la volontà di metter su un'impresa che il chiacchiericcio si spense improvviso, fogli di carta caddero a terra e le segretarie si fecero il segno della croce sgranando un rosario.

Chiesi di vederlo, Il commercialista. Avevo fissato un appuntamento. Si presentò anticipato dal Requiem di Mozart in filodiffusione nella reception. Lo seguì in processione sino a un ufficio austero. Mi accomodai sulla poltrona, lui dall'altra parte con la faccia di chi ti deve dare brutte notizie.

 

Quindi vuoi aprire una libreria, giusto?”

Giusto.”

Dobbiamo attivare la partita Iva” allungandomi un pacco di cleanex.

Perché i fazzoletti?”

Perché c'è da piangere.”

 

E aveva ragione. Partita iva equivale a debito a prescindere. Significa che, solo perché esisti, secondo il fisco devi, tra contributi previdenziali, pratiche e altre spese obbligatorie, almeno cinquemila euro annui, indipendentemente dal fatto che te li possa permettere o no. Ripeto: almeno.

Ma ci sono le agevolazioni per i giovani!” obbiettai.

Fu allora che Il commercialista mi schiaffeggiò severo: “Hai quasi trent'anni. Smettila di credere alle favole!”

Analizzammo la situazione, dopo ore di riunione la cosa più sensata da fare era elaborare una previsione degli investimenti, dei costi e delle strategie per far funzionare il negozio. In pratica, c'era da redigere il business plan. Seppur abbia rappresentato una difficoltà enorme, la creazione di un business plan mi ha consentito di studiare a fondo la situazione. Emerse che sarebbe stato difficile ma non impossibile. Difficile per due motivi: 1) il mercato editoriale era pessimo; 2) stavo per aprire una ditta individuale con un socio occulto: lo Stato. Lo Stato è uno scansafatiche, ti chiede più o meno l'80% di quello che prendi senza darti nulla in cambio. Ti ammali? Fatti tuoi; Ti serve qualche ora per adempiere a obblighi burocratici? Fatti tuoi; sei in Posta per pagare la tassa sui rifiuti e hai il numero 272 e hanno appena chiamato il 12, non riuscendo ad aprire puntualmente? Fatti tuoi. Per lo Stato sono sempre fatti tuoi. Se ne sta in poltrona e non muove un dito, però vuole la fetta più grossa del tuo lavoro. Se non ce la fai a pagarlo, non gli puoi mica rispondere “Fatti tuoi!”, perché allora, improvvisamente, diventano soprattutto “fatti suoi” e c'è il rischio che ti pignorino pure le mutande. Seppur con il sentimento di uno Khmer rosso nei confronti dell'Agenzia delle entrate, non mi demoralizzai. Valicando l'ingerenza del socio occulto, della crisi economica e di quella dell'editoria, con buonsenso e impegno, i conti sarebbero tornati sul lungo periodo. Il business plan reggeva.

Incaricai Il commercialista di avviare le pratiche. Tempo un mese e Pascal di Mattia Tasso aveva il suo bel numero di partita iva. E un mucchio di debiti. 

 

 

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