11 - Canone di locazione

 

 

 

La vera sfida era voler aprire a Legnago, il mio paese. Guardando il lato positivo, non ci sarebbe stata grande concorrenza. Il lato negativo, probabilmente, era tutto il resto.

Ora, è bene che vi spieghi come sia il mio ridente paesello.

Legnago è una cittadina piuttosto grande, circa 35.000 abitanti, a sud della provincia di Verona. Bagnata dalle acque torbide del fiume Adige, accoglie una briosa comunità di persone che vive in armonia con le nutrie. Capitale della bassa veronese, qui la crisi non si sente. Infatti negli ultimi anni c'è stato un bum di inaugurazioni: compro oro, sale slot e negozi cinesi. Non ci si annoia davvero mai: dopo aver venduto la collanina della cresima, puoi tentare la fortuna e, se va male, consolarti con un involtino primavera. Nei tabacchini, anziane signore prive delle loro parure risalenti al matrimonio (vendute impunemente a peso), rimangono ipnotizzate innanzi i teleschermi del “dieci e lotto”. Una volta c'erano i circoli dove si giocava a tombola. Ora tabagismo e azzardo sono mescolati negli stessi posti, ed è un fenomeno tremendo. Se vai a comprare il tabacco, incroci orde di vecchie che fumano tre pacchetti di MS al giorno e grattano con le monetine pure lo smalto.

A Legnago c'è una festa che dura tutto l'anno: è la sagra del luogo comune.

Abitudine dei legnaghesi è discutere attraverso stereotipi: “Ah, non è più come una volta”, “I ragazzi di oggi sono senza valori”, “La politica fa schifo”, “L'euro è stata la rovina”, “Gli extracomunitari ci rubano il lavoro!”. Ecco, più di ogni altra cosa, è un territorio dove la maggior parte della gente rifiuta qualsiasi contaminazione esterna. Non è xenofobia, è diversa: è repulsione mascherata da oggettività. Contro chiunque non sia nato nel raggio di venti chilometri, non abbia avi discendenti dalla Serenissima Repubblica, e non conosca la ricetta della Pearà.

Gli-extracomunitari-ci-rubano-il-lavoro è il leit-motiv cittadino, e poco importa se, onestamente, non sia assolutamente così. É una questione di mancata accettazione dei tempi. Sembrerà strano, ma il legnaghese medio fatica a comprendere che nel 2014 si può raggiungere l'altro capo del mondo in meno di 24 ore, che l'Europa non ha più frontiere, che le persone sono in connessione e che il colore della pelle, o l'accento, o la discendenza, non sono una colpa. Ma, se glielo si fa presente, si mettono sulla difensiva e negano con tutte le forze ciò che in realtà è chiaro: sono razzisti. Come molte zone sotto l'influenza del celodurismo, lo schifo per il diverso ha dilagato. Si vive senza responsabilità, non è mai colpa nostra, è sempre colpa loro! Però si deve tacere, perché comunque, la parola razzista suscita vergogna ed essere tacciati come tali fa ribrezzo.

Facebook offre uno straordinario indicatore della situazione locale. Leggendo i vari gruppi di discussione nati sul web, ci si accorge che il termometro legnaghese è a livello Ebola. Le questioni di dibattito sono, più o meno, sempre quelle e vertono principalmente sugli stranieri: “Vengono qua per rubare!”, “Non hanno voglia di fare niente!”, “Sono incivili”, “Puzzano!”, “Sporcano!”, “Son terroristi!”, “Vogliono imporre la loro religione!”, “Gli-extracomunitari-ci-rubano-il-lavoro!”. Se per caso qualcuno si azzarda a far notare che a) Non sono tutti così; che b) Notoriamente è sbagliato dare colpe a priori; che c) L'immigrazione è un fenomeno sociale e non si può eliminare, semmai controllare; e che d) Occorrerebbe muovere una riflessione leggermente più ampia, superando la chiusura mentale paragonabile a quella di Torquemada; la risposta è una e una soltanto: “Ma io non son mica razzista!”

NOOOOOOOOO, NON SEI RAZZISTA. BASTA CHE NERI, CINESI, EBREI E TERRONI TI STIANO DISTANTE!

Gli intrattenimenti, poi, sono numerosissimi. Si può passeggiare per le vie del centro guardando le vetrine chiuse dei negozi, si possono bere quindici spritz il giovedì perché l'alternativa è stare a casa a guardare i Cesaroni, si può partecipare agli eventi cittadini che son sempre gli stessi da venticinque anni, ci si può fermare a guardare i cantieri assieme agli anziani e le loro tossi catarrose, si può ascoltare un concerto alle otto di sera che termina alle nove precise con un volume non più alto dei sette decibel, perché altrimenti si disturberebbe il sonno del proprietario novantenne dell'attico in piazza Garibaldi.

Nonostante ciò, amo il posto dove sono nato. Pur con tutti i suoi difetti, i limiti e la chiusura mentale, Legnago vive di persone splendide a anche di realtà (poche) che si danno da far per vivacizzare il territorio. Volevo essere una di quelle!

 

Una delle caratteristiche della provincia è non accettare di esserlo. I legnaghesi sono celebri per la spocchia. Abitando in uno dei comuni più grandi di Verona, si atteggiano a cittadini quando non lo sono affatto, con effetti nefasti sul mercato immobiliare. I proprietari di negozi tendono a negare l'evidenza, cioè che col tempo, Legnago è diventata vivace quanto il deserto della Dancalia. Uno si aspetterebbe che le strade vuote e il crollo dei consumi ribassasse i prezzi degli affitti. E invece...

Avendo fatto l'agente immobiliare ero consapevole a cosa andavo incontro. Dovevo trovare uno spazio centrale, bello e che costasse poco ma non era semplice.

Ricordavo un negozietto che avevo visto tempo prima durante uno dei mie appuntamenti. Fortunatamente era ancora libero. Lo visitai ed era perfetto: ristrutturato elegantemente, spazioso il giusto, con un canone accettabile. Diverrà il luogo dove nascerà Pascal. Ma per sicurezza decisi di controllare cosa la piazza offrisse. Fu un'avventura triste. Valutai decine di immobili sfitti, vidi praticamente tutti i negozi disponibili di zona e mi resi conto come, delle volte, la crisi ce la creiamo (e la meritiamo). Le richieste di canone erano onestamente folli e per giustificarle, solitamente, ci si appellava al “qui si vende tanto”. E se domandavi: “Allora perché non hai tenuto aperto tu, se vendevi tanto?”, la risposta era sempre la stessa: “Venga, le faccio vedere il magazzino” cambiando discorso.

Ma un appuntamento, rispetto a tutti, fu davvero raccapricciante.

 

Mi accordai per dare un occhio a uno spazio in una via centralissima. L'attività precedente aveva da poco sgomberato il locale. L'appuntamento era fissato per le 17.00. Il proprietario si presentò alle 17.30 senza avvisare. Dopo una stretta di mano, l'uomo distinto che avevo appena incontrato, aprì la porta. L'ambiente non era molto ampio, lo spazio si sviluppava principalmente per il lungo. Fronte strada, sul lato stretto, la porta e una vetrina minuscola. Sul fianco sinistro una serie di vetrate immense davano su un parcheggio privato. L'altezza del soffitto era quasi quattro metri con travi a vista di legno scuro.

Qualche minuto per dare un'occhiata, anche se non c'era molto da vedere. Il proprietario zitto in un angolo. Il negozio non mi entusiasmava. Era anonimo, senza personalità, ma la zona era ottima e se spuntavo un buon prezzo potevo pensarci. A quanto ammontasse la richiesta d'affitto non era chiaro: sull'annuncio non veniva indicata la cifra.

Quanti metri saranno?” domandai, rompendo un certo imbarazzo.

Mah, non so...”

Rimasi attonito. Come? Il negozio è tuo e non sai quanti metri sono?

All'incirca. Ha idea?”

Saranno una settantina, su per giù.”

Sull'annuncio c'era scritto settantatre ma sembra più piccolo.”

Allora saranno settantatre” e il proprietario ritornò al mutismo.

Feci un giro per controllare gli impianti.

C'è il climatizzatore?”

Sì, eccolo.” indicando uno split appeso al muro, nascosto dallo stipite di una porta.

Per rinfrescare, coi soffitti così alti, è sufficiente?”

Quelli che c'erano prima avevano fatto il contro soffitto dappertutto.”

E l'hanno tolto?”

Lo volevano lasciare ma gliel'ho fatto levare io. Per rifarlo saranno cinquemila euro.”

Basito lo fissai: “Ma...”

Ma cosa?”

Cioè, se c'era perché l'ha fatto togliere? Con un soffitto così alto si consuma un sacco di riscaldamento e raffreddamento.”

Perché magari non piaceva.”

Sì, ma si poteva levare dopo, eventualmente.”

Si può sempre rifare, eventualmente!” ripetendo l'avverbio acidamente.

Il mio cervello stava andando in cortocircuito cercando di comprendere la logica meschina di quell'uomo. Aveva un negozio da quattro metri d'altezza, riscaldato a convettori attraverso un impianto costruito nella seconda rivoluzione industriale, con un climatizzatore che non sarebbe bastato manco per una Renault 5. Le bollette avrebbero succhiato il sangue a chiunque ma, per fortuna, gli occupanti precedenti avevano pensato bene di abbassare il soffitto, e lui che fa? Invece di mantenerlo, facendo decidere a chi sarebbe entrato se adottare quella soluzione o meno, lo fa levare! Geniale, geniale davvero.

Scusi, tutte quelle vetrate danno sul parcheggio. Ma è privato?”

Sì. Una volta c'erano solo due vetrine. Ne ho fatte installare otto. Mattina e pomeriggio c'è il sole. Il negozio è molto luminoso.”

A parte che era davvero incomprensibile perché rendere trasparente un lato sul nulla cosmico, dove gli unici a poter vedere le vetrine erano i dieci condomini del palazzo, c'era un'altra questione critica: lo scambio termico.

Vetri isolanti?” chiesi.

In che senso?”

Dico, le vetrine hanno il doppio vetro? Per tenere lontano il calore d'estate e il freddo d'inverno.”

Oh, no, assolutamente. Vetro normale.”

Benissimo. Ora, mi configurai la scena: luglio, ero seduto dietro al bancone della mia libreria in quel negozio, con la maglietta incollata alla pelle come una muta da sub per via del sudore. Entra un cliente, fa due passi per venire incontro. Spaventato grido: “Si fermi! Si fermi!”. Ma non faccio in tempo che il poveraccio, oltrepassando la soglia di una vetrina, viene colpito da un raggio solare riflesso a una temperatura di 894 gradi centigradi, finendo bruciato vivo. Giorni dopo avrei spiegato ai familiari, disperati per la tragedia: “É sapete, il mio negozio è molto luminoso...”

L'apice giunse nel momento di conoscere il canone.

Quanto chiede?”

Non lo so.”

Come non lo sa?”

Non lo so, devo valutare.”

Ma se ha messo l'annuncio, saprà quanto vuole.”

Mmmmh, no.”

Un più o meno.”

Faccia lei.”

Come faccio io?”

Faccia lei, al metro quadro.”

A Legnago siamo tra gli otto e i dieci euro. Settecento?”

Mpf!” borbottando infastidito, “Macché!”

Nel senso, troppo alto o troppo basso?”

Cosa ne pensa?”

Non saprei. Mi dia un'indicazione...”

Ha fatto un giro per i negozi qui in centro?”

Sì, li ho visti tutti.”

E?”

E che?”

E cosa si sentirebbe di offrire per questo?”

Cioè, io...” con le palpitazioni, “Ecco, io mi sentirei di offrire circa seicento euro al mese. Ci sono un sacco di lavori da fare: impianti, soffitti, tendaggi...”

Mh.”

É la cifra che pensava?”

Ah non so. Lei cosa ne dice?”

Mi guardai attorno sconvolto, per vedere se dalla porta del bagno uscisse Iva Zanicchi mentre passanti intonavano: “Cento-cento-cento!”

Ma siamo a 'Ok il prezzo è giusto'?”

Come scusi?”

Niente, niente. Dicevo: ce l'avrà un'idea! Se vuole affittare si sarà fatto quattro conti. Mi dica quanto chiede sennò non posso valutare.”

Le spiego...” lunga pausa. Forse era la volta buona buona, mi avrebbe detto la cifra.

...Devo farmi due conti, non posso così su due piedi.”

Ora, non potete neppure lontanamente immaginare il fastidio che mi ha provocato quell'uomo. E, ancora adesso, se ci ripenso, non riesco a trovare un senso all'incontro. Come fai a voler affittare un negozio senza rendere nota la richiesta? Cos'è, segreto di Stato? Non credo avesse una capsula di cianuro tra i denti da mordere nel caso gli fosse sfuggito: “Quindicimila annui, spese condominiali comprese!”

Feci un ultimo, disperato, tentativo.

Guardi, parliamoci chiaro. Io sto aprendo sul serio un'attività. E ne ho visti tanti di negozi. Ho fatto l'agente immobiliare, so i prezzi di Legnago, conosco le procedure. Insomma, mi occorre sapere quanto domanda per questo benedetto negozio!”

...”

Quindi?”

Mi fissò. Prese un respiro. Aprì le labbra, la voce uscì dalla gola, si diffuse nell'aria insinuandosi sin dentro i miei timpani: “Non lo so. Faccia lei.”

E fu allora che non resistetti: “Faccia, faccia. Facciamo che se ne va affanc...”

Quando ce vò ce vò!

 

La settimana successiva mi accordai col proprietario del primo negozio, versai il dovuto e ricevetti le chiavi. Entrai, mi sedetti a terra e, da solo, respirai l'aria polverosa di quello spazio vuoto. Era diventato mio, sarebbe stata Pascal e volevo godermelo.

 

 

 

Vai al capitolo precedente 

 

Vai al capitolo successivo

 

 

 

Crea un sito web gratis Webnode