13 - Kebab e bricolage
Nella misera finanziaria in cui versavo, mettere in piedi un'attività commerciale era pressoché impossibile. Come già detto, l'unica speranza era fare bene i conti. Entrai in possesso di talmente tanti preventivi che la mattina mi chiamava il Sole 24 ore per sapere le aperture dei mercati. Mia madre divenne terrorizzata dal fare la spesa. Quando tornava a casa, aprivo le buste e controllavo: “Tonno due euro e quattordici? MA SEI FUORI? Se andavi al discount c'era la promozione a uno e novantanove!”
Per restare dentro al budget prefissato dal business plan mi piegai a ogni genere di sacrificio:
“Mattia, mangiamo una pizza?”
“Non posso, devo risparmiare per il mouse del computer.”
“Mattia, domattina vieni a correre?”
“Non posso, devo svegliarmi alle sei per essere davanti ai cancelli del centro commerciale. C'è lo sconto del dieci per cento sulle matite.”
“Mattia, mi offriresti una sigaretta?”
“Dico, sei impazzito? Una sigaretta equivale circa a venti centesimi, un ventiduesimo di una risma di carta!”
Pensate quel che volete ma non era essere tirchi. Uno non se ne rende conto fin che non prova, ma non riesci mai a fare previsioni di spesa realistiche, pur con tutta l'attenzione di questo mondo. Salta sempre fuori un imprevisto, un oggetto che non avevi considerato, una cosa necessaria che non ricordavi. E se sei tirato al centesimo com'ero io, anche un solo euro può metterti in difficoltà. Con fatica e dedizione, comunque, me la cavai. Divenni un uomo ossessionato dai numeri. Parlavo a codici a barre.
Il bancone lo recuperai da una scrivania che volevano buttare, la ristrutturai con un decoupage di pagine di libro. I tavoli da esposizione furono ricavati da vecchie assi e cavalletti ridipinti. Le poltrone, per dare l'idea di potersi fermare a rilassarsi, riuscì a comprarle per pochissimo da un rigattiere. Questione di creatività. La libreria sarebbe stata particolare, personale e stupenda (come, in effetti, è!).
Ma non tutto si può recuperare e costruire. Qualcosa dovevo pur comprare di nuovo. Desideravo cose semplici, carine ed economiche. Soprattutto economiche. Con i quattro spicci di cui disponevo avevo da prendere ancora le scaffalature, una componente fondamentale per sistemare i libri. Anch'io, allora, andai all'Ikea.
Un tempo c'era Aiazzone, che aveva un jingle orribile quanto il bon ton di Lars Von Trier alle conferenze stampa, ma almeno lo aveva. L'Ikea no, l'Ikea non ha niente, nessuna canzoncina, nessuno slogan. L'Ikea ha un brand fortissimo per due ragioni: la prima è che gli edifici sono cubi gialli e blu all'uscita delle autostrade; la seconda è che i mobili si montano. Alle donne interessa poco questo aspetto. Loro amano l'Ikea, patria del desing e dello shopping, tanto all'assemblaggio ci pensano gli uomini! Per i maschi (italiani) è diverso. Gli uomini svedesi non escono mai di casa. In Svezia c'è freddo, buio e una socialità da tagliarsi le vene. Per non annoiarsi, si divertono montando mobili. I maschi nostrani, invece, hanno il caldo, il sole e tanto buonumore. A noi montare mobili onestamente fa schifo. A maggior ragione se, su centoventritre viti minuscole che ti occorrono per mettere in piedi l'armadio, l'Ikea te ne da esattamente centoventitre. Così, se per caso versando il sacchetto di plastica che le contiene, una dovesse andare a infilarsi sotto il letto perdendosi, tu non potresti più costruire il mobile, a meno di ritornare dentro il cubo giallo e blu per acquistare una singola vite. I maschi svedesi lo reputano un vero spasso. Gli italiani, invece, comprano il gasolio, portano l'armadio in giardino, versano il combustibile, appiccano il fuoco e poi vanno dalla prozia a recuperare quello che non usa in radica e frassino, dal peso specifico di diciassette tonnellate, già montato.
Noi dovevamo assemblare le celeberrime “librerie Billy”. Ne presi ben dieci. Dico noi perché a darmi una mano ci furono mamma e papà, disponibili a qualsiasi lavoro di bricolage. Condivisero impegno e fatica, aiutandomi in tutto. In cambio offrivo loro il pranzo. Fortunatamente per le mie tasche, a due passi dal negozio, c'era un kebabbaro che faceva al caso: cinque euro “Panino con dudo: sassa gioggut, sassa picante, sansa scipola!”. Ne abbiamo mangiati talmente tanti da immedesimarci nel rotolo di carne. Mamma arrivò al punto che, quando si doveva depilare, chiamava mio padre e gli faceva tenere il silk-e-pil in mano mentre lei ruotava su se stessa. Ma fu con le librerie Billy che l'intesa familiare toccò l'apice. Divenimmo talmente coordinati che pensammo di mandare un video a Montezemolo per farci assumere in Ferrari. Rapidi come un pit-stop di formula uno, in mezza giornata gli scaffali erano assemblati e ancorati al muro.
Poi venne il falegname a sistemare le vetrine, i grafici ad appiccicare le vetrofanie, gli elettricisti, l'idraulico, il tecnico del registratore di cassa, il kebabbaro a ringraziarmi perché avevo pagato l'università al figlio. Finalmente Pascal prendeva forma.
Mancavano solo i libri.