14 - Grande festa: apre Pascal (ma la legge di Murphy continua)
Mi commuovo ancora ripensando a quando arrivò il primo pacco di libri. Lo scartai come il più bel regalo che potessi ricevere. I mesi precedenti, oltre a tinteggiare, arredare, contrattare, li avevo investiti nella scelta dei titoli da inserire in libreria. Un processo lunghissimo, lento, preciso. Avevo conosciuto e collaborato con editori in cui credevo fermamente e che desideravo promuovere nel mio spazio a tutti i costi. Presi un libro dal pacco, quello in cima, lo lessi immediatamente anche se lo conoscevo, perché era il primo arrivato in Pascal. Il giorno dopo il corriere scaricò un bancale intero e fu tutto meno poetico. Mi ammazzai per scaffalare e organizzare quella marea di carta. Avevo la schiena a pezzi. Quando si dice il peso della cultura...
Era tutto pronto per il 5 Ottobre 2013, giorno della festa d'inaugurazione. Promossi l'apertura coi social, pubblicità e qualche intervista sui giornali locali. Il 4 lo trascorsi a sistemare le ultime cose e a farmi prendere dall'ansia. Sarebbe andata bene? Ci sarebbe stata gente? Alle persone sarebbe piaciuta Pascal? Domande che non mi ero mai posto prima del 4 Ottobre. La mente era troppo concentrata a far quadrare i conti e costruire un'azienda. Ma la notte prima fu tremenda. Per l'agitazione e per colpa del parrucchiere.
Dovevo tagliarmi i capelli. Dopo l'odissea dei lavori, avevo un aspetto indecente. Decisi che fosse il caso di recuperare una parvenza di presentabilità in vista della festa d'inaugurazione, perché ormai sembravo Bob Marley.
La sera andai da un coiffeur che mi aveva consigliato caldamente un'amica. Mi accomodai sulle poltroncine d'attesa e, quando venne il mio turno, disse: “Ti fa lo stagista.”
Un brivido mi percorse la schiena. Riecco la legge di Murphy: inesorabile, crudele. Quattro semplici parole: “Ti-fa-lo-stagista” e stai pur certo che, proprio nella situazione più importante della tua vita, proprio nel momento in cui nulla deve andare storto, la sfiga agirà impunemente. Ho tentato di raddrizzare la sorte: “Guarda, domani ho un avvenimento importante. Non è che puoi tagliarmi i capelli tu? Sai, non vorrei mai che...”
“Stai sereno. É bravissimo!”
Sull' “É bravissimo”, voltai lo sguardo sullo stagista al quale, in quell'esatto istante, caddero le forbici dalle mani e, cercando di riprenderle da terra, rovesciò un ciotola di colore balbettando scuse alla signora che stava seguendo.
Tremavo. Mi lavò in testa. Mentre frizionava sciacquando, domandò: “Troppo calda l'acqua?”
“Ah, perché è acqua? Non soda caustica?”
“Abbasso un po' allora?”
“No, no tieni così, sono abituato. Quando mi lavo i capelli, di solito, prendo il primo volo per l'Islanda e ficco la testa dentro un Geyser.”
Poi mi fece accomodare sulla poltrona davanti lo specchio. Dopo avergli spiegato come volevo esser conciato, iniziò a tagliare. Procedeva tutto sommato bene, se non che nei pressi delle basette si avvicinava sconsideratamente alle orecchie. La sciagura era inevitabile.
Zac, zac e zac, improvviso un bruciore bestiale sulla punta del padiglione auricolare. Il sangue colò copioso lungo il collo e sul colletto della camicia. Fermai l'emorragia stringendo la ferita con l'indice e il pollice. Mentre il parrucchiere si faceva i fatti suoi, concentrato su una permanente, lo stagista sbiancò alla vista del rosso e riprese a balbettare scuse. In un turbinio di agitazione, si diresse in bagno tornando con della carta igienica per pulirmi.
Dopo un paio di passate, tranquillizzò: “A posto!”
Peccato che tempo mezzo secondo e il sangue riprese a uscire dall'orecchio. Controllai, mi aveva reciso perfettamente a metà la parte superiore. Un taglio netto, profondo, da lato a lato.
Accortosi che non era sufficiente una strofinatina, ripassò la carta. Non servì a nulla.
“Hai qualcosa da metterci sopra?” domandai.
“Sss... Sss... Ssssì! Prendo un cerotto”, portandomene uno quadrato di lato due millimetri. Senza neppure un goccio di disinfettante, in barba al più comune buon senso igienico, me lo attaccò sopra.
“Secondo me è un po' piccolino” dubitai.
“No, no” ribatté lui, questa volta certo di aver risolto, “A posto!”
Dopo che la signora a fianco svenne raccapricciata, pure io dissi: “A posto!” e mi arrangiai andando in farmacia a prendere mercurio cromo e cerotti.
Altroché a Pascal, dovevo intitolare la libreria a Van Gogh.
Il giorno dopo, seppur avessi l'orecchio talmente gonfio da sembrare il maestro Yoda, la festa d'inaugurazione fu splendida. Le persone riempirono la libreria e per la prima volta conobbero Pascal, le sue mura, le sue poltrone e i suoi libri. C'era un clima di felicità e soddisfazione condivisa. Si capiva perfettamente che era un luogo prima che un negozio, e i luoghi li fanno le persone, non le cose.
Brindammo (e anche molto, visto che stappai sessanta bottiglie d prosecco), mangiammo, sorridemmo. Perché era una vittoria mia e di tutti. La generazione dopo aveva costruito qualcosa di concreto. La generazione dopo aveva vinto.