2 - Dura lex sed lex

 

 

Come ogni buon corso universitario, giurisprudenza raccoglie un'umanità variegata di studenti. A legge si possono distinguere gruppi di persone con caratteristiche comuni. La peculiarità più evidente di chi la frequenta è la costante ricerca dello stile. Lo stile assume i connotati di ragione di vita per una buona fetta dei partecipanti. Essendo, quindi, una realtà molto attenta alla moda, i più numerosi sono fashion victim: soggetti di ambo i sessi che se non intonano il fazzoletto da naso col mocassino, oppure la borsa con lo smalto delle unghie dei piedi, non si ritengono presentabili. Con questi ho sempre evitato rapporti. L'ultima cosa di mio interesse era quella di conoscere “cosa andrà quest'autunno”. E anche se ne fossi stato affascinato le mie finanze mi costringevano ad abbigliarmi ai mercatini dell'usato in periodo di saldi. Ragion per cui sarebbe stato impossibile sostenere i confronti quotidiani del tipo: “Oh, ma dove le hai prese queste scarpe scamosciate? E quanto le hai pagate? Solo trecento euro? SOLOOOOOOO?”

I fashion victim studiano legge aspirando esclusivamente al notariato, per guadagnare cifre da capogiro e strisciare carte di credito nelle boutique milanesi come non ci fosse un domani.

 

Il corso di legge ha fama di essere l'ambiente di destra per antonomasia. In due anni di frequenza non ho mai visto nessuno azzardare una t-shirt di Che Guevara. E pure io, che normalmente l'avrei indossata senza problemi, mi facevo scrupolo a manifestare le mie posizioni.

Ebbene, i nostalgici del ventennio rappresentano una fetta considerevole del popolo della aule di giurisprudenza. Li riconosci immediatamente: capello rasato, jeans attillatissimi, anfibi anche nelle sessioni estive, una conoscenza degli avvenimenti storico-politici dell'Italia del novecento un filino capziosa. Quando s'incontrano scatta in automatico il saluto romano e un motto del Duce. Hanno tutti “faccetta nera” come suoneria del cellulare, sicché se squilla il telefono a uno tra loro, gli altri cercano nelle tasche convinti li stiano chiamando. Se parlano di politica iniziano il discorso con l'immancabile premessa: “Aaaaaah, quando c'era Lui...” L'espressione del viso è perennemente malinconica: tristi del fatto di non aver vissuto un'epoca (a loro modo di vedere) meravigliosa, sognano la libertà di roteare un manganello sulla testa di qualche “zecca rossa”.

Neppure coi nostalgici del ventennio (per differenti visioni) ho avuto modo di stringere legami.

 

Ogni scuola che si rispetti deve avere dei secchioni. Ed è così anche a giurisprudenza. Il problema è che il secchione di legge è differente dal secchione tradizionale. O meglio, è un secchione tradizionale all'ennesima potenza. Il secchione di legge cancella ogni forma di vita sociale, qualunque possibilità di relazione, in favore dello studio. Si ingobbisce e porta occhiali con lenti telescopiche già al primo anno. La deformità, dovuta al troppo tempo sui libri, gli fa assumere sembianze mostruose. A metà tra uomo e goblin, il secchione di legge non concepisce nessun discorso al di fuori delle “questioni sulla Costituzione”. È colui che manda a memoria la didascalia a pagina quattrocentoquarantuno del tomo facoltativo di “Storia del diritto medievale e contemporaneo”. Se prende un ventinove torna a casa per punirsi col cilicio dalla vergogna. Mentre si percuote ripete a voce alta: “Appello straordinario, appello straordinario, appello straordinario!”. Chiama confidenzialmente i professori “prof”, in tono mellifluo, odioso, viscido.

All'esame è meglio evitare di parlarci perché insinuerebbe dubbi sulla tua preparazione che sino al momento prima nemmeno ti sfioravano: “Hai dato un occhio al commento alla sentenza trecentoventinove del millenovecentosettantadue della Corte di Cassazione?”

Tu, del “commento alla sentenza trecentoventinove del millenovecentosettantadue”, ovviamente ignori l'esistenza.

“A che pagina era?”

“Seicentosettantasette...”

“Ma se il libro ha cinquecento pagine?”

“Si, l'edizione compatta. Ma il prof ha detto che voleva quella estesa e commentata.”

Ed ecco che la flebile speranza di passare l'esame sul quale studi da due mesi è bell-e-andata.

Per tutto il mio percorso scolastico anch'io sono stato un secchione ma del tipo tradizionale.

Con i secchioni di legge ho preso le distanze.

 

Una discreta parte degli studenti sono pendolari. Io rientravo all'interno di questa cerchia sfigatissima. I pendolari sono stanchi, sfiduciati, stressati, hanno le borse sotto gli occhi. Sono poveri. Non potendosi permettere l'appartamento nella città di studio, vagabondano di stazione in stazione con il tipico equipaggiamento composto da: tracolla, fazzoletti da naso e pacchetto di cracker. Costretti a un ritmo di vita di cui si lamenterebbe un operaio cinese, si alzano quando il sole deve ancora sorgere e rincasano solo se le Ferrovie dello Stato permettono. Alla mercé della puntualità dei mezzi pubblici, conducono una vita di corsa per sopperire ai ritardi dei trasporti nazionali.

Stando perennemente a contatto coi batteri che infestano i sedili dei treni, nel corso del tempo hanno sviluppato anticorpi grandi quanto coleotteri grazie ai quali possono permettersi di saltare i richiami dell'antitetanica. È gente che si ciba di pranzi al sacco o al massimo di un pasto in mensa. Studiano in luoghi impensabili grazie a una capacità di concentrazione paragonabile a quella di un monaco bonzo. E il posto che preferiscono per studiare è il vagone del treno dove stringono amicizie dovute alla routine e alla disperazione.

 

Ma nella facoltà di giurisprudenza si aggira l'essere più ripugnante del globo terracqueo. Un solo esemplare, due sarebbero troppi! Colui il quale la semplice vista comporta conati di vomito e capogiri. L'omuncolo che se non vivesse in un paese civile avresti già schiaffeggiato ore e ore per il semplice motivo che se lo merita. Una persona talmente spregevole che a sentirlo ti viene voglia di prendere il porto d'armi per farti giustizia privata (nei suoi confronti).

Sto parlando de Il figlio del professore di diritto romano (musica cupa e ancestrale).

Un damerino con l'erre moscia, la camicia inamidata e un taglio di capelli in auge ai tempi di Dallas. Il figlio del professore di diritto romano è perfettamente in pari con gli esami nei quali, guarda caso, non strappa mai meno di trenta e lode. Mentre tu sei a scongiurare che suo padre non ti chieda un'altra volta di parlargli della “servitù acquae pluviae arcendae”, lui si crogiola di fronte al libretto universitario sventolandolo in faccia a chiunque. Non lo sfiora nemmeno l'idea che forse sia così bravo perché “figlio di”. Prima degli esami, quando una buona fetta dell'aula accusa nevrosi o isterie di vario genere, Il figlio del professore di diritto romano mantiene una calma ascetica. Se per i comuni mortali l'interrogazione non dura meno di tre quarti d'ora e i voti non superino mai il 23, lui se la risolve in dieci (e dico dieci) secondi grazie all'impeccabile risposta al quesito: “Saprebbe indicarmi il titolo del manuale sul quale si è preparato?”. Riflettendo qualche istante risponde: “Manuale di diritto pubblico”, con la beffa del docente che dice: “Bravo. Il Massimo dei voti. Salutami tuo padre!”

 

L'esperienza di giurisprudenza non fu proficua. Il diritto non m'interessava poi tanto. Ho scelto legge perché, nella visione di mio padre che poi fu anche mia, avrebbe garantito discrete chance di trovare un lavoro ben retribuito. Il punto era il percorso per arrivare alla laurea. Ero abbastanza motivato dal risultato (diventare, per esempio, avvocato) e non dal contenuto (cioè la materia di studio).

E fu così che trascorsi:

due anni di noia mortale passata su libri spessi quanto bimattoni;

due anni a contatto con persone con le quali, nella vita vera, non avrei scambiato mezza parola;

due anni di dipendenza economica dai genitori perché i lavori stagionali non erano sufficienti a mantenermi.

A tutto questo è bastato aggiungere il “salutami tuo padre” per comprendere come mai abbia salutato la facoltà di giurisprudenza per sempre.

 

 

 

Vai al capitolo precedente 

 

Vai al capitolo successivo