8 - Fa' la cosa giusta!

 

 

 

Al colmo della nullafacenza professionale sono diventato uno Yes man. Dicevo “sì” a tutto e a tutti:

Mattia, mi accompagneresti al supermercato che siamo senza radicchio?”

Sì, certo.”

Mattia, oggi pomeriggio tengono una conferenza sullo Yin e Yang. T'interesserebbe venire?”

Sì, certo.”

Mattia, dovrei ritinteggiare la cuccia del Rottweiler. Potresti?”

Sì, certo. Ma è buono?”

Bah, se non lo fissi negli occhi non succede niente” (Fu così che presi in mano il pennello e indossai una maschera da saldatore per coprire lo sguardo).

Mattia, al cinema danno la prima di un film indipendente curdo che racconta la storia di una ragazza che vive un conflitto interiore perché vorrebbe visitare Istanbul ma il padre glielo vieta. Ho due biglietti, ne avresti voglia?”

Sì, certo.”

In sostanza, ero come una spugna che assorbe ogni stimolo, qualunque novità. Qualsiasi esperienza mi si prospettava, la coglievo al volo, pure quelle che mi facevano schifo (tipo il film curdo. Se mi proponessero oggi di rivederlo, piuttosto imparerei a memoria la discografia di Al Bano.)

Era chiaro che non sapevo “dove andare”. Stavo cercando uno spiraglio, la possibilità di ritagliarmi uno spazio. Ero, però, così confuso, da farmi sballottare a destra e sinistra senza la minima speranza di chiarirmi. In cuor mio sapevo a cosa aspirassi: lavorare coi libri. Ma il mondo dell'editoria, dall'esterno, appariva etereo, inconsistente, quasi esistesse solo nella fantasia.

Che faccia avrà un uno che lavora in casa editrice?” pensavo, e m'immaginavo gli editor con le sembianze degli omini Lumpa-lumpa, coi vestitini colorati e le scarpette a punta che canticchiavano: “Correggiam, correggiam, sistemiamo e poi tagliam!”

Con la cultura ci si mangia?”, mi domandavo. La risposta era “Boh” ma di certo sarebbe stato più semplice indossare una maglietta gialla con la targhetta sul taschino e vendere racchette da tennis alla Decathlon (sempre se avessi passato il colloquio).

Lo stato confusionale in cui versavo era evidente. Mi ero accorto che essere uno Yes man non avrebbe portato a nulla. Occorreva trovare una strada, mettercisi sopra e seguirla. Ho incanalato il tempo libero per focalizzare le risorse. É così che ho approfondito il mondo dell'editoria. Ho letto, chiesto, mi sono informato per avere un panorama generale della situazione. Dapprima ho esplorato il lavoro dello scrittore, tentando di comprendere come si pubblica, perché si pubblica, cosa fanno le case editrici, come comunicare con loro, gli standard da seguire per considerare uno scritto “buono” da uno “pessimo”. Ho studiato, mi sono esercitato scrivendo, ho aumentato le ore di lettura. Poi ho ampliato l'orizzonte all'editoria tutta: la distribuzione, il diritto d'autore, le librerie. Ho intuito che quello fosse l'habitat perfetto per le mie aspirazioni. L'interesse col quale mi affascinavano le scoperte, la curiosità che mi spingeva a volerne sapere ancora e sempre più, erano indicatori precisi.

 

Con Cristiano ho sempre avuto un rapporto eccezionale. Sarà perché siamo parenti (è mio zio), sarà perché siamo simili, sarà perché è stato fonte d'ispirazione e incoraggiamento, sarà per tutte queste cose messe assieme, sta di fatto che siamo molto legati (talmente da divenire successivamente “colleghi di penna” in Una vita ad arte, Sono cotto di te). Cristiano è uno psicologo, si occupa principalmente dello sviluppo delle persone, e ha una storia affascinante: laureatosi tardi dopo aver ripreso gli studi, ha abbandonato un posto sicuro per crearsene uno proprio. All'incirca due anni fa mi fece una proposta: doveva tenere un laboratorio sulla creatività che usava l'arte come spunto, alla fiera Fa' la cosa giusta! di Milano e gli serviva una spalla. Si sarebbe trattato di andarsene in Lombardia e sgobbare quanto schiavi egiziani al tempo di Ramses Secondo. L'idea di cambiare aria e, soprattutto, il fatto che l'evento fosse organizzato da una casa editrice, mi fece dire “Sì” con certezza.

 

Ricordo che appena varcai la soglia de cancelli della fiera provai un'energia pazzesca, simile forse a quella che avvertirono i miei ex colleghi nello stringere la mano a Il Presidente. La differenza è che se mi fossi trovato nei loro panni, avrei probabilmente percepito nulla di diverso che un prurito intimo. A Fa' la cosa giusta!, invece, captai la fibrillazione e la feci mia.

Furono quattro giorni intensi e faticosi: stavamo dentro il padiglione almeno 10 ore, bevevamo caffè, parlavamo con tantissime persone delle più varie estrazioni, mangiavamo ogni squisitezza notavamo sui banchi dell'area riservata al gusto: cannoli siciliani, formaggi, dolci, mostarde, pane, polpette di carne annegate nel sugo, panini, verdure grigliate, patatine fritte, arancini siciliani, torte dell'America meridionale, miele, biscotti, fritto misto. Alla domenica la gente appena ci vedeva si buttava sotto le tavole coprendosi le orecchie per paura che esplodessimo, ma per fortuna era l'ultimo giorno.

Sta di fatto che ho avuto modo di conoscere una casa editrice vera e guardare al di fuori del mio confine di paese. Fa' la cosa giusta! mi ha aperto gli occhi: un grande contenitore di idee e coraggio, di persone che credono nei valori e li trasmettono grazie al loro lavoro. Esattamente ciò che chiamo realizzazione.

 

L'esperienza dello work shop fatto con Cristiano e della fiera ha dimostrato due cose: la prima è che le persone cercano risposte (da qui l'idea di scrivere la collana Praticamente); la seconda è che la gente vuole dei luoghi, non dei negozi. É sì, perché di negozi ce ne sono una marea. Ciò che manca sono gli spazi per stare assieme, fare socialità, nutrire la propria curiosità e il proprio spirito, allontanarsi dal recinto della quotidianità per entrare in quello del futuro, ritrovare condivisone. In pratica, le persone vogliono superare la crisi, che è anzitutto culturale. Da questa intuizione sarebbe nata Pascal.

 

Tornato a casa ho rimuginato per giorni su quanto accaduto a Milano. La crisi è difficile, ma ha anche degli aspetti positivi. Tipo che ti offre la possibilità di scegliere, che ti mette nelle condizioni del tanto vale. Se il lavoro non si trova, tanto vale crearselo. Sapevo perfettamente di voler costruire qualcosa di mio, coi miei valori, i miei talenti e la mia passione. Ma cosa metterci dentro?

I libri: gli strumenti che conoscevo meglio perché le persone ottenessero risposte e si riappropriassero di uno spazio che sarebbe stato prima di tutto un luogo.

 

 

 

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