Fare lo scrittore - Intervista a Giorgio Fontana

Era da un po' di tempo che mi frullava in testa l'idea di intervistare importanti scrittori italiani per raccontare l'altra parte della barricata, cioè come sia il mestiere di scrivere. Un modo per conoscere gli autori, il loro punto di vista, il lavoro delle parole e fare qualche considerazione riguardo l'editoria e la letteratura.

Come tutti sanno, in Italia pochissimi (purtroppo) leggono ma praticamente tutti scrivono. Non è un cliché, è la verità. Sembra utile, allora, aprire un confronto con chi i libri li crea, così da avere almeno un pochino più chiara la situazione e (magari) trarne degli spunti.

E in questo sito o si fanno le cose in grande o niente! Con enorme soddisfazione il primo ospite è niente-popo-di-meno-che il Premio Campiello in carica Giorgio Fontana, il quale si è gentilissi(missi)mamente prestato a rispondere alle mie domande.

Per chi non lo conoscesse (pentitevi!):

Giorgio nasce nella provincia di Varese nel 1981. Si laurea in filosofia all'università Statale di Milano e comincia presto la sua attività di romanziere ( Buoni propositi per l'anno nuovo -Mondadori; 2007- e Novalis -Marsilio; 2008- ). Nel frattempo cura il reportage per Terre di Mezzo Babele 56 e partecipa come saggista e articolista per diverse testate nazionali. Per legge superiore, primo titolo del dittico sulla giustizia, uscirà nel 2011, al quale seguirà nel 2014 Morte di un uomo felice  con cui trionferà al Campiello 2014.

Ma bando alle ciance, è tempo di incontrare il nostro ospite!

 

Partiamo col botto: come si fa a fare lo scrittore di professione oggi?

Conosco pochissimi scrittori che scrivono romanzi e basta (e fra di essi non ci sono io). Quindi direi che la prima cosa da fare è togliersi dalla testa che la narrativa possa diventare una professione: se si scrive partendo con questo desiderio, si scrive per una ragione sbagliata (oltre che estremamente difficile da realizzare). Naturalmente ci sono scrittori che oltre a fare narrativa fanno anche altri lavori connessi alla scrittura: giornalismo freelance, corsi, sceneggiature... Mettendo insieme tutto questo si può arrivare a campare dignitosamente, ma è una strada difficile e precaria. Mai come ora, fra l'altro, in un momento di grande crisi di tutto il sistema editoriale — libri, quotidiani e riviste.

 

Giorgio Fontana come ha cominciato a scrivere?

Attorno ai 16-17 anni, poesie e racconti decisamente orrendi. Poi ho scritto qualche romanzo — anch'esso orrendo, e dunque buttato — che però mi è stato molto utile come palestra; poi quello che sarebbe stato il mio libro d'esordio. E poi ho continuato. Credo che la scintilla iniziale sia nata semplicemente perché ho sempre amato le storie: ascoltarle, leggerle — e infine raccontarle.

 

Hai esordito con Mondadori, passando per Marsilio, Terre di Mezzo e, infine, Sellerio. Tutti editori importanti. Quanto conta la meritocrazia per pubblicare un romanzo che abbia discrete chance di "circolazione"?

Metto le mani avanti: non lavoro nell'editoria e dunque non scelgo libri che vengono pubblicati; mi limito a scriverne. Ciò detto: se per "meritocrazia" intendiamo il valore dell'opera, allora per quanto ne so io conta praticamente tutto. Certo, ci sono libri che vengono pubblicati perché l'autore è già famoso di suo e altri casi del genere: ma nella stragrande maggioranza si valuta semplicemente se un romanzo è buono o meno. Però attenzione: tale"valore" non è univoco, dipende dalla linea del singolo editore, delle sue idee, persino dalla sua concezione di cosa dovrebbe essere un libro; dipende da fattori letterari e da fattori commerciali... Insomma, è una cosa piuttosto complessa.

 

Esattamente come me adori Kafka. Cosa consiglieresti del grande narratore praghese?

Di solito consiglio "Il processo", che è il mio preferito. Ma oggi mi sento di umore diverso e consiglio "America", sicuramente il più romanzesco fra i suoi romanzi. Oppure, in alternativa, qualsiasi cosa che Kafka abbia scritto.

 

Tutti dicono che "I libri sono importanti", nonostante i fatti indichino cifre esigue di lettori e una costante difficoltà dell'editoria. Ma il mantra a loro tutela continua a risuonare, quasi a pulirsi la coscienza rispetto l'abbandono di uno degli strumenti essenziali della cultura. Allora ti chiedo: davvero i libri sono così fondamentali? Che significato hanno (se lo hanno) oggi, in un mondo dall'iper-accessibilità contenutistica, governato da media e comunicazione aperta? C'è un futuro per loro?

Credo che "i libri" sia un'astrazione un po' vaga, e parte del problema: in sé, il libro è una tecnologia, un mezzo: e come ogni mezzo non va idolatrato a priori. Ci sono libri orrendi e libri bellissimi, libri utili e libri inutili; ci sono saggi, manuali, romanzi, poesie... Impossibile fare di tutta un'erba un fascio. Mi limito a dire questo: come tecnologia, il libro è ancora il migliore supporto possibile per la lettura. È comodo, economico, favorisce la concentrazione (non puoi aprire quattro tab sul libro, mentre lo leggi) ed è gradevole da tenere in mano. Credo rimarranno con noi ancora diverso tempo. Quello che è davvero importante, invece, è coltivare una capacità critica di lettura. Proprio perché la nostra società è sempre più scritta — e l'analfabetismo funzionale o di ritorno sempre più alto — è indispensabile imparare a leggere con cura. Da questo punto di vista, le idee esposte da Giusi Marchetta nel suo recente Lettori si cresce mi sembrano eccellenti.

 

Con il bellissimo "Morte di un uomo felice" hai vinto il Premio Campiello 2014. Da quel giorno la tua vita di autore è cambiata? Come?

Ho avuto molta più visibilità, più vendite, più possibilità; di certo dal punto di vista professionale è stato straordinario. Ma non è cambiato nulla nel modo in cui concepisco la scrittura.

 

Potresti dare un consiglio a chi si vuole approcciare in maniera "seria" alla scrittura?

Sviluppare rapidamente un profondo senso critico. Imparare a rileggere e riscrivere. Imparare ad accettare il fallimento. Imparare a leggere con l'occhio dello scrittore (come è stata costruita questa scena? Come è stato impostato questo dialogo? Ecc.).

 

Una piccola anticipazione di cosa bolle nella pentola di Giorgio Fontana per il futuro.

Purtroppo è ancora troppo presto per dirlo. Mi piace giocare a carte coperte finché non sono sicuro di quello che ho in mano.

 

Non mi resta che ringraziare Giorgio per la cortesia e la disponibilità. E a voi lettori intimo di ascoltare i consigli che ha dato e correre in libreria a prendere i suoi libri!

 

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