5 domande a Paolo Zardi su "XXI secolo"
Sono felicissmo che XXI secolo di Paolo Zardi (NEO) sia tra i superdodici semifinalisti del Premio Strega 2015. Primo, perché il libro è valido, profondo, godibile ed è giusto che vi si rivolga attenzione; secondo perché nel caso il romanzo in questione dovesse rientrare nella cinquina finalista, è prevista una sbronza collettiva di festeggiamento (QUI). E se non aveste passaggio per tornare a casa e L'antico vaso dovesse essere tratto in salvo, non preoccupatevi: un nugolo di uomini ubriachi accorrerà in aiuto a bordo di un aereo. Quindi, tracannatori di amaro, è tempo di tifare!
Paolo (che ringrazio di cuore) ha accettato di rilasciare un'intervista per il sito. Un modo per conoscere meglio il romanzo e pure lui. Ma prima sembra opportuno accennare a XXI secolo, sempre che non l'abbiate già letto (vi intimo di farlo).
In un imprecisato futuro del XXI secolo, il mondo conosce la devastazione della crisi economica. Il protagonista, un venditore porta-a-porta di depuratori d'acqua che ha come ragione di vita la famiglia, subisce la tragedia dell'ictus della moglie Eleonore. Ma il ritrovamento di un cellulare e un mazzo di chiavi fa nascere il dubbio che lo tradisca, costringendolo a confrontarsi con lo sconvolgimento delle sicurezze sentimentali, in un Occidente ormai in declino.
Bando alle ciance, è tempo di chiacchierare con Paolo Zardi!
XXI secolo racconta di un padre di famiglia che deve fare i conti con un dramma (l'ictus della moglie Eleonore) e il possibile tradimento. Contestualizzi la storia all'interno di un universo distopico-ucronico dove il mondo, attanagliato dalla crisi, ha assistito a variazioni sconvolgenti (un degrado inarrestabile, tre Papi, uno Zar -forse- in Russia, etc.). Di certo non un orizzonte roseo. Credi che davvero il futuro sarà così?
Mentre scrivevo XXI secolo, e cercavo di immaginare una delle possibili evoluzioni delle diverse crisi che serpeggiano nel mondo, ho iniziato a pensare che se non mi fossi sbrigato a finirlo rischiavo di far uscire un libro di storia, anziché un romanzo distopico. A distanza di un anno, devo dire, invece, che l’Occidente sta provando a invertire la rotta, o quantomeno a rinviare il tracollo.
In ogni caso, non sono un sociologo, o un politologo. La mia idea del futuro è molto più vaga di quella che viene raccontata, con precisione, nel romanzo. Con questa, però, condivido una sensazione di fondo, e cioè che l’Occidente sia come una nobile famiglia decaduta che sta vendendo i gioielli di casa per mantenere il tenore di vita di un tempo; non scorgo, in altre parole, nuove idee capaci di garantire la leadership culturale ed economica a questa piccola porzione di mondo. Tra una decina di anni sapremo se la crisi della Grecia, l’espansione dell’Isis, l’incapacità di dialogo con la Russia, il vuoto politico dell’Europa, lo sgretolamento di qualsiasi forma di solidarietà sociale, il populismo di Salvini e la politica dei tweet erano banali incidenti di percorso o l’inizio della fine.
A parer mio, i grandi temi del libro sono l'amore (per tutto: la moglie, i figli, la madre, la sorella, il cane...) e la decadenza, intesa come perdita di certezze e scetticismo nel futuro. Ad accostarli sembra un ossimoro. Qual è il motivo (se ce n'è uno) che ti ha spinto a raccontare di sentimenti in un umanità al crepuscolo?
Sono convinto che le storie interessanti, quelle che hanno valore dal punto di vista drammaturgico, nascano sempre da un contrasto insanabile: la forza di un romanzo andrebbe sempre cercata nella tensione di una corda tirata da forze contrapposte. Il rischio che si corre in questi casi, però, è quello di creare un mondo manicheo, dove il bene ha le sembianze di un angelo luminoso e il male quelle dei cattivi dei film hollywoodiani. Nel mio romanzo, la decadenza del mondo, il crepuscolo dell’Occidente, si oppone all’amore di lui, ma allo stesso tempo lo riverbera, lo amplifica, e lo compenetra. Anche se il protagonista non ne ha consapevolezza, parte della decadenza del mondo nasce dalla visione ottimistica e un po’ ottusa di quelli come lui, da quel sistema di valori tardo novecenteschi dove c’erano lavoro e famiglia, e poco altro. Al contrario, l’amore incondizionato verso la minuscola comunità della quale si è responsabili potrebbe rappresentare una risposta allo smarrimento di una società in declino.
Ho trovato curioso che il protagonista venda depuratori d'acqua e che sia legato ai vecchi metodi del porta-a-porta. Un impiego stridente se penso alla realtà "sporca", "infetta" a più livelli che descrivi. Perché la scelta di questo mestiere?
Alla base di questa scelta c’è un fatto del tutto personale: nel maggio del 2013, prima che io iniziassi a scrivere questo libro, avevo ricevuto la visita di un venditore di depuratori d’acqua che, dopo un’estenuante trattativa, un corpo a corpo silenzioso e feroce, mi ha convinto a comprare un trabiccolo grande come un rene artificiale, con un piano rate che non ho ancora finito di pagare. In principio, quindi, devo ammettere che c’era un desiderio di rivalsa alquanto meschino! Ma al di là di questo episodio contingente, ho sempre pensato che la vendita porta a porta sia un mestiere massacrante, perché alle famiglie visitate si vende, prima di tutto, se stessi: questi venditori accettano di essere giudicati ogni giorno da qualcuno che non conoscono, e lo fanno per portare a casa uno stipendio. C’è qualcosa di eroico, in questo – un eroismo piccolo borghese, quotidiano, del tutto ignorato. Nella storia di amore e disperazione che stavo costruendo mi serviva proprio un uomo con queste caratteristiche – un idealista delle piccole cose, un inguaribile ottimista, un lavoratore pragmatico e pieno di buon senso. Ora sono ancora in dubbio se contattare quel venditore per regalargli una copia del “XXI secolo”… Forse gli farebbe piacere leggerlo: alla fine sul desiderio di vendetta è prevalsa una profonda empatia verso un uomo che faceva il proprio dovere per la propria famiglia.
Per scrivere XXI secolo hai avuto ispirazione da qualcosa in particolare? É stato un processo fulmineo oppure ti ci è voluto diverso tempo per maturarlo?
E’ stato un processo lungo, con un’importante falsa partenza. L’idea iniziale nasce da un tragico fatto di cronaca. Una donna viene uccisa, il marito viene sospettato dell’omicidio ma le indagini scoperchiano una realtà inaspettata: l’assassino è un insospettabile amante della vittima, con la quale aveva una relazione da anni. Da principio, avevo l’intenzione di scrivere la storia di due indagini, quella dei magistrati che cercano di scoprire chi è il colpevole, e quella più esistenziale del marito che vuole capire chi era, realmente, la vittima. Arrivato a un terzo di questo romanzo, però, mi sono reso conto che c’era qualcosa che non andava, e alla fine ho dovuto ammettere che il genere poliziesco non rientra nelle mie corde. Ho buttato quello che avevo scritto e sono ripartito da zero e con il senno di poi sono convinto di aver fatto bene.
Una volta trovata la strada giusta, e soprattutto aver affinato la lingua che mi serviva per raccontare la storia che avevo in mente, la scrittura è durata poco più di sei mesi – un tempo ragionevolmente breve che mi ha consentito di non perdere mai di vista il risultato complessivo che volevo ottenere.
Il romanzo è semifinalista dello Strega 2015. Che reazione hai avuto alla notizia? E, soprattutto, adesso cambiano le aspettative rispetto al premio?
Il romanzo è uscito con una piccola casa editrice abruzzese, la Neo edizioni, che in confronto ai grandi gruppi editoriali assomiglia a David davanti a Golia. Per questo motivo la candidatura prima, e il passaggio alle semifinali poi, sono stati eventi inaspettati, che abbiamo accolto, io e l’editore, con grandissima felicità ed entusiasmo: ci sentiamo come quelle piccole squadre di provincia che arrivano in serie A, al di là di ogni pronostico. Ciò che davvero ci rende orgogliosi è che un premio così prestigioso, con una storia così lunga alle spalle, si sia accorto di questa piccola realtà editoriale. Ma devo dire che questo risultato, comunque inaspettato, non arriva per caso: la Neo ha avuto il merito di aver seguito, nel corso degli anni, un percorso esemplare, attraverso scelte chiare, coerenti e coraggiose
Proprio il fatto di essere degli outsider ci dona una divertita serenità: con un po’ di strafottenza, puntiamo seriamente a vincere il premio – siamo convinti che “XXI secolo” racconti il nostro mondo in modo originale e nuovo, e che abbia le carte in regola per rappresentare il fermento, talvolta trascurato, della letteratura italiana di questi anni – ma, a differenza di chi è abituato a vincere, sappiamo che comunque andrà a finire, per noi questo Strega sarà memorabile.
A noi non resta che augurare imbocca al lupo a Paolo Zardi, a NEO e a XXI secolo. E accorrere a leggere, rileggere, diffondere il libro!
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